Roberto Laneri

Compositor

DREAMTIME PROJECT


Concerto per voci, strumenti e immagini di Roberto Laneri, Alberto Tessore e Ilaria Drago.
Testi di Ilaria Drago, musiche di Roberto Laneri, multivisione di Alberto Tessore. Prologo: Mara Cantoni.

“White man got no dreaming!”, “l’uomo bianco è senza sogni!” è un detto popolare tra gli aborigeni australiani. Questo non significa che i bianchi non sognino, ma che in essi si sia indebolita la connessione con il “Dreamtime” appunto. Tra i risultati la perdita di potere del sogno inteso come potere creatore, proprio di uno stato di coscienza fluido e non sequenziale. Un’ antica leggenda parla di razze umane per le quali l’ esperienza reale era invece quella del sogno, e lo stato di veglia una fase assai meno creativa e produttiva. Alcuni pensano che gli aborigeni australiani siano tra gli ultimi rappresentanti di queste antiche civiltà, portatori di un sapere le cui origini e modalità da una parte ci sfuggono, dall’ altra risuonano nel più profondo del nostro essere.
DREAMTIME PROJECT è uno spettacolo multimediale che parte da un’idea musicale nuova nella sua formulazione, anche se fa riferimento a modalità e atmosfere della musica aborigena australiana che risale a migliaia di anni fa, e che coinvolge diverse forme comunicative come la parola, l’immagine e il suono. Questa cultura non solo si rivela piena di fascino, ma anche di pressante attualità, dato lo stato generalmente preoccupante del pianeta, tanto da avviarsi a diventare un punto di riferimento forte, vera e propria icona culturale del nostro tempo.
La multimedialità viene qui intesa come creazione di una forma d’arte originale, e non come semplice collage di varie specialità, il risultato di una vera sintesi compositiva ed esecutiva delle diverse discipline. La musica si serve sia di mezzi ancestrali come il canto armonico (e quindi una vocalità modulata secondo tecniche antichissime) e il didjeridoo (la voce del Dreamtime per eccellenza ed archetipo di strumenti a fiato, anch’essi presenti nello spettacolo: clarinetto, clarinetto basso, sax soprano), sia di mezzi contemporanei come le tecniche di registrazione, campionamento e manipolazione del suono che diventa porta di accesso ad altri mondi altrimenti preclusi, purché ci si ponga in uno stato di ascolto e di apertura non condizionato da fattori culturali. La parola si flette e scivola attraverso le pieghe del tessuto musicale e visivo portandosi dietro il corpo stesso dell’attrice. Il testo è stato scritto durante un continuo ascolto non solo della musica ma anche del proprio stato di sogno; è diventato vibrazione che rimanda e suggerisce, che si tende come nervi tesi al ritmo serrato o si scioglie in una delicata dolcezza sensuale. La parola che segue l’incanto della suggestione fa sì che tutto il testo diventi un’eco lontana ricca dove il significante sa volare oltre il suo stesso significato. Quindi una peculiare forma di recitazione, che incorpora liberamente tecniche vocali di canto armonico. L’immagine, scorrendo sui vari schermi, crea uno spazio mitico entro cui si trova il pubblico. All’interno di questo ambiente visivo, si aprono finestre di multivisione con richiami sia ad elementi mitologici, sia a pitture tradizionali e ad elementi di vita quotidiana. Il senso profondo delle immagini è quello di far vedere l’invisibile, cioè dissolvere ogni oggetto nelle vibrazioni che ne sono la vera realtà. In altre parole fare mediante tecnologie contemporanee quello che l’arte aborigena fa da migliaia di anni con le tecniche pittoriche raark (“x-ray painting”) e “dot painting” (“pittura a punti”, sorta di divisionismo ancestrale), le quali più che la forma esterna mostrano la forma energetica delle cose.

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